Milano, il giudice: «Sessisti gli insulti web alla responsabile Uber, i tassisti la risarciscano» | Corriere.it

2023-02-22 17:06:03 By : Mr. Kris Zhao

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Il Tribunale li condanna: «Tremila euro a testa per diffamazione»

I commenti e le foto su Facebook che alcuni taxisti milanesi riservarono nel 2014-2015 all’allora responsabile in Italia di «Uber» Benedetta Arese Lucini, nel momento più incandescente dello scontro attorno all’applicazione che li sostituiva mettendo in contatto utenti e fornitori del servizio di trasporto urbano su auto, non solo non erano funzionali a sostenere la lotta sindacale dei taxisti, ma tracimarono in «insulti gratuiti» alla manager, «associata pubblicamente ad una balena ed a una scrofa» con «offese connotate anche da un indirizzo di spregio tipicamente sessista». E siccome «nessuno, malgrado il tempo trascorso, ha ritenuto di esprimere un gesto di ristoro alla persona offesa» patrocinata dall’avvocato Monica Bonessa, e anzi alcuni imputati in aula «hanno rivendicato la correttezza del proprio operato», il Tribunale, oltre a condannare cinque taxisti a 600 o 400 euro di pena pecuniaria per diffamazione di Lucini, ha condizionato il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento di una provvisionale (cioè un acconto sui danni da stabilire in sede civile) di ben 3.000 euro a testa. 

A giudizio erano finiti cinque dei taxisti che su una pagina Facebook («Uber Verità», aperta a inizio 2014 con un centinaio di iscritti) avevano ad esempio postato una fotografia che ritraeva la manager al supermercato, con sotto un commento secondo il quale «la balena» comprava cibo perché aveva bisogno di mangiare di più per far aumentare il suo sedere; altri post additavano «è aperta la caccia alle scrofe», o indicavano «nella foto la Lucini e i suoi autisti abusivi», sotto la foto appunto di «una scrofa che allattava i cuccioli». Gli imputati, difesi dall’avvocato Marco Giustiniani, si difendevano contestualizzando i loro messaggi Facebook nel tentativo all’epoca di «far emergere una strategia aziendale piuttosto spregiudicata di Uber su scala internazionale», e sostenendo che l’evocazione della balena derivasse dal fatto che la società veniva così descritta in vari contesti informativi che evidenziavano la capacità del «pesce grosso» di annientare i «pesci piccoli» sul mercato. In questa chiave i taxisti valorizzavano l’ordinanza con la quale il 25 maggio 2015 il Tribunale civile di Milano aveva poi «accertato la concorrenza sleale» e dunque inibito «in via cautelare ed urgente l’utilizzazione sul territorio nazione dell’app Uber Pop». 

Ma la giudice monocratica Elisabetta Canevini osserva che «le frasi e le offese rivolte a Benedetta Arese Lucini hanno assunto un connotato sessista che poco può trovare attinenza con lo svolgimento della sua attività professionale», giacché «hanno avuto una evidente amplificazione nella portata verbalmente aggressiva di espressioni collegate alle caratteristiche fisiche, ad allusioni di stampo sessuale, al paragone con la balena o la scrofa». E che sia così, argomenta la giudice, lo dimostra il fatto (ricordato anche dal teste Alessandro Maran, ex assessore comunale) «che nessuno dei soggetti successivamente incaricati di ricoprire il medesimo ruolo in Uber hanno subìto lo stesso trattamento, pur essendo ancora attiva la problematica sull’inserimento di Uber nel mercato italiano: se nemmeno lui ha colto il collegamento tra la “balena” e la società Uber, forse si trattava di un collegamento non così evidente o esplicito nei suoi pretesi significati». Neppure può valere, per la giudice, la scriminante della reazione a una provocazione: «Anche laddove si volesse valutare quale fatto ingiusto l’accesso di Uber sul mercato (anche alla luce delle pronunce del Tribunale civile), e le affermazioni fatte pubblicamente dalla Lucini sul fatto che i tassisti fossero “evasori fiscali”», i post dei taxisti «non sono in alcun modo qualificabili quale improvvisa reazione ad un fatto ingiusto», così come anche il pur sussistente «diritto della comunità dei tassisti di proteggere il proprio posto di lavoro e di manifestare il pensiero non trova alcun collegamento logico/funzionale con l’espressione di frasi oltraggiose ed offensive».

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Notte all'addiaccio nella speranza di conquistare un posto per l'identificazione. Qualcuno tenta di saltare la fila e interviene la polizia