Creare miniere sulla Luna per realizzare la fusione nucleare «pulita», una sfida che divide la scienza | Corriere.it

2023-02-22 17:09:25 By : Mr. Samuel Wall

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Secondo il fisico Ernesto Mazzucato del Plasma Physics Laboratory di Princeton la fusione riconcilierà crescita economica e sostenibilità

Davvero quella da fusione nucleare sarà l’energia del futuro, quella che riconcilierà crescita economica e sostenibilità? Forse sì. Ma non sarà la fusione di cui tanto si parla. O si straparla, secondo il fisico Ernesto Mazzucato, trasferitosi dall’Italia agli Usa per andare a lavorare al Plasma Physics Laboratory di Princeton, e oggi membro dell’American Physical Society.

Come noto, la fusione è la reazione che alimenta il Sole e le altre stelle: due nuclei si fondono per formare nuclei più leggeri e la differenza di massa diventa energia. «Il che — spiega Mazzucato in un intervento su Formiche — richiede il riscaldamento dei due gas reagenti a centinaia di milioni di gradi. Questo, che sembra essere un problema formidabile, non è ciò che finora ha impedito lo sviluppo dei reattori a fusione. La difficoltà maggiore è stata invece il contenimento dei gas reagenti (il plasma), che è compromesso da una serie di processi turbolenti. Dopo oltre sessant’anni di ricerca sappiamo come controllare questi fenomeni turbolenti. Purtroppo, altri problemi più difficili hanno finora impedito l’uso dell’energia dalla fusione nucleare».

Da lì parte Mazzucato per indicare quelli che sono, a suo avviso, i limiti insuperabili dei principali programmi di ricerca in materia di fusione nucleare. Il più grande dei quali è l’International Thermonuclear Experimental Reactor (Iter), la cui nascita si può far risalire all’incontro tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov al vertice di Ginevra del 1985 quando, per dimostrare che la guerra fredda stava finendo, decisero di unire le forze nella costruzione di un reattore a fusione. «Poco dopo — spiega Mazzucato — l’Unione europea, il Giappone, la Cina, l’India e la Corea del Sud si unirono al gruppo dando a Iter uno straordinario sostegno politico e finanziario. Si decise quindi di costruire il reattore in Francia con un costo totale diviso in due parti uguali, di cui una a carico dell’Unione europea e il resto equamente diviso tra gli altri sei partner. La costruzione cominciò nel 2007 con inizio dell'uso di combustibili nucleari ora previsto per il 2035».

Sulla carta, la potenza totale di fusione di Iter è di 500 megawatt, con una potenza di ingresso di 50 Mw. L’energia in uscita sarebbe, in altri termini, dieci volte quella in entrata. I calcoli che fa Mazzucato sono, però, molto diversi. «Il rapporto cruciale è quello tra l’energia elettrica che Iter potrebbe produrre utilizzando i suoi 500 Mw di fusione e l’energia elettrica necessaria per il suo funzionamento. Ma poiché, utilizzando standard generatori elettrici a turbina, non potrebbe ottenere più di 200 Mw di energia elettrica dalla sua energia di fusione, mentre quella necessaria per il suo funzionamento sarà parecchie volte superiore ai 50 Mw di potenza in ingresso, il guadagno di energia elettrica sarà sicuramente inferiore a uno!».

L’altro problema di Iter è che utilizza deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno. E questo comporta, scrive Mazzucato, due problemi molto seri. «Il primo è che l’80% dell’energia di fusione sarà trasportata da neutroni che sono dieci volte più energetici di quelli dei reattori a fissione e sono anche quattro volte più numerosi per unità di potenza. Questi neutroni causeranno gravi danni alle strutture interne del reattore, spostando gli atomi dalla loro posizione reticolare e producendo rigonfiamenti e fratture. Di conseguenza, questi componenti del reattore dovranno essere sostituiti ogni pochi anni e smaltiti come rifiuti con un alto grado di radioattività. Pertanto, la potenza di un reattore D-T (deuterio-trizio, ndr) sarà ben lungi dall’essere pulita, come viene pubblicizzato».

Il secondo problema è che, mentre si può ottenere tutto il deuterio di cui c’è bisogno dall’acqua di mare, il trizio presente in natura è estremamente raro sulla Terra. «Può essere prodotto — spiega Mazzucato — utilizzando i reattori a fissione del tipo Candu, come il trizio usato per le armi nucleari. Tuttavia, poiché si tratta di una procedura molto costosa e l’attuale flotta di reattori Candu è destinata a esaurirsi nei prossimi decenni, l’opzione naturale è la produzione in situ del trizio mediante l’assorbimento dei neutroni in uno strato di litio-6 (un isotopo del litio) avvolto intorno al plasma, producendo un atomo di elio e uno di trizio per ogni neutrone assorbito». Faccenda alquanto tecnica, ma quel che a Mazzucato preme sottolineare è che «si tratta di un processo estremamente complesso, che deve produrre non solo il trizio necessario per il funzionamento del reattore stesso, ma anche generare una riserva di trizio per l’avvio iniziale di altri reattori. Inoltre, deve essere fatto gestendo la sicurezza e il rischio biologico del trizio».

Una sperimentazione in tal senso era prevista nel programma iniziale di Iter. «Purtroppo — denuncia Mazzucato — questo fu ben presto abbandonato quando il costo di Iter iniziò ad esplodere, passando da 6 a più di 25 miliardi di dollari. Il test fu quindi rinviato a vari progetti da costruire dopo il completamento di Iter. Di conseguenza, ora abbiamo un progetto multimiliardario che dovrebbe studiare la fattibilità dei reattori a fusione D-T, ma non è previsto che venga studiato uno dei suoi requisiti più cruciali: l’autosufficienza di combustibile!» (Mazzucato sembra avere una predilezione per i punti esclamativi).

Anche altri programmi di ricerca sulla fusione hanno, ad avviso di Mazzucato, problemi simili a quelli di Iter. Ad esempio, quello della società Helion Energy, che ha recentemente raccolto 2,2 miliardi di dollari con la promessa di un reattore funzionante nel 2024. Ma anche la National Ignition Facility (Nif) del Lawrence Livermore National Laboratory. Il Nif ha recentemente prodotto 3,15 megajoule (MJ) di energia da fusione concentrando 2,05 MJ di luce laser su una piccola capsula di deuterio e trizio solido. A causa di questo guadagno di energia – mai raggiunto prima in nessun esperimento di fusione – il Nif è stato dichiarato una pietra miliare nella corsa allo sviluppo di reattori a fusione (qui l’articolo di Giovanni Caprara). «Tuttavia — obietta Mazzucato — è difficile accettare una tale connotazione del Nif, poiché il suo sistema laser consumava circa 400 MJ di energia elettrica, mentre i 3,15 MJ di energia di fusione potrebbe generare al massimo 1 MJ di elettricità. Quindi, come inizialmente previsto dalla National Nuclear Security Administration (Nnsa), Nif deve essere considerato non il prototipo di un reattore a fusione, ma solo uno strumento per lo studio delle armi atomiche per migliorarne la capacità di distruzione, senza il bisogno di fare esperimenti sottomarini o sotterranei che sono vietati dal trattato sulla messa al bando di esperimenti nucleari».

A questo punto, vi sarete fatti l’idea che Mazzucato sia un pessimista cronico. Invece, continua a essere convinto che la fusione nucleare sia un’opzione decisiva per fermare il riscaldamento globale. «Abbiamo un’altra opzione – la fusione di deuterio ed elio-3 (un isotopo dell’elio) – che è quasi priva di neutroni quando la densità dell’elio-3 supera quella del deuterio di un fattore due. La difficoltà principale è ancora una volta l’estrema scarsità di uno dei componenti della fusione, l’elio-3, che sulla Terra è presente solo come decadimento del trizio usato per le armi atomiche o nei pozzi di gas naturale, in una quantità che potrebbe essere sufficiente solo per lo studio dei primi prototipi di reattore».

Progetto morto in culla, quindi? Non per chi sia disposto, per così dire, ad allargare lo sguardo. O, per essere più precisi, ad alzarlo. «I campioni di suolo lunare riportati dagli astronauti della missione Apollo hanno mostrato la presenza di un’enorme quantità di elio-3, portato sulla Luna dal vento solare per miliardi di anni. Di conseguenza, è stata stimata la presenza di circa un milione di tonnellate di elio-3 a pochi metri di profondità della superficie lunare. Come estrarlo e trasportarlo sulla Terra è stato descritto in molte pubblicazioni, tra cui un libro di Harrison H. Schmitt, che è stato l’ultimo uomo a camminare sulla Luna e il primo e unico scienziato a farlo» (nella missione Apollo 17). Il libro in questione è Return to the Moon, uscito nel 2006 e un profilo del suo autore, firmato da Paolo Conte, redattore di Radio3Scienza, lo trovate su Il Tascabile (di Schmitt, geologo che fu anche senatore repubblicano del New Mexico per una legislatura, Conte ricorda peraltro che «hanno sempre molto sorpreso la comunità scientifica le sue tesi, espresse anche di recente, sulle cause dei cambiamenti climatici. Harrison è del parere che i fattori umani siano eccessivamente sopravvalutati rispetto a quelli naturali e che i livelli crescenti di anidride carbonica nell’atmosfera non siano significativamente correlati al riscaldamento globale»).

Mazzucato concede che l’estrazione dell’elio-3 lunare sarà un’impresa molto costosa ma è convinto che «il guadagno sarà astronomico a causa dell’enorme quantità di energia che potremmo ottenere utilizzando l’elio-3 nei reattori a fusione, come ha recentemente affermato lo scienziato capo del programma cinese di esplorazione lunare (Clep), secondo cui un programma industriale a lungo termine per l’estrazione dell’elio-3 dalla Luna è economicamente giustificato perché “la Luna è così ricca di elio-3 che potrebbe risolvere la domanda di energia dell’umanità per almeno 10.000 anni”». Per questo, il fisico italiano trapiantato negli Usa conclude il suo intervento lamentando che «questo messaggio non è arrivato al Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che invece di iniziare una nuova Apollo Mission, ha in programma di donare quasi 4 miliardi di dollari alla costruzione di Iter».

Forse Elon Musk ci starà facendo un pensierino, alle miniere lunari. Ma immaginiamo che molti fisici — e molti imprenditori impegnati nei principali programmi di ricerca sulla fusione nucleare — non siano d’accordo con Mazzucato. Sul sito dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, si può leggere, ad esempio, quanto segue: «Il geologo del programma Apollo, Harrison Schmidt, ha ripetutamente argomentato a favore dell’estrazione di elio-3, e Gerald Kulcinski dell’Università del Wisconsin-Madison è un altro sostenitore di spicco. (...) Non tutti sono d’accordo sul fatto che l’elio-3 produrrà una fusione nucleare sicura. In un articolo intitolato Paure da fattoidi nel 2007, il fisico teorico Frank Close ha notoriamente descritto il concetto come un “chiaro di luna” (un nonsenso, ndr). Ad ogni modo, pare che dovremo essere pazienti per trovare le risposte».

Dopo che se ne era parlato in una puntata del programma di divulgazione scientifica della Bbc Horizon, Close (docente emerito di Fisica a Oxford e autore di numerosi testi divulgativi tradotti anche in italiano, come L’enigma dell’infinito, Antimateria, Teorie del tutto, Neutrino e anche di una biografia del fisico italiano Bruno Pontecorvo) scriveva che quello dell’elio-3 lunare è «un esempio di quella che io chiamo “scienza basata su fattoidi” – miti di dubbia provenienza che si propagano, diventano opinione comune e potrebbero persino influenzare la politica» (dell’opportunità di estrarre elio-3 dalla Luna si era discusso, nel 2004, anche nello Science and Technology Committee della Camera dei Rappresentanti Usa). Ecco un altro passaggio dell’articolo di Close: «Ricavando elio-3 dalla Luna, tutto ciò che faremo sarà creare una macchina per la fusione di deuterio e trizio, che è proprio la cosa che gli appassionati di elio volevano evitare! Imperterriti, alcuni suggeriscono addirittura che due nuclei di elio-3 potrebbero fondersi l’uno con l’altro per produrre deuterio, una particella alfa ed energia. Sfortunatamente, questa reazione avviene ancora più lentamente della fusione deuterio-trizio e il combustibile dovrebbe essere riscaldato a temperature impraticabilmente alte che sarebbero fuori dalla portata di un tokamak (reattore nucleare toroidale, ndr). E poiché nemmeno il prossimo reattore sperimentale termonucleare internazionale (Iter) sarà in grado di generare elettricità da quest’ultima reazione, la storia dell’elio lunare-3 — come quella dell’Lhc come macchina dell’armageddon (secondo la quale il Large Hadron Collider, acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, potrebbe generare piccoli buchi neri in grado di inghiottire la Terra, ndr) — è, a mio avviso, un nonsenso (moonshine)».

Mazzucato può, però, contare su una potente alleata. La figlia Mariana, economista molto nota sia negli Stati Uniti che in Italia e autrice di libri assai dibattuti come Lo Stato innovatore, Ripensare il capitalismo, Missione economia (qui un’analisi critica delle sue tesi da parte del vicedirettore del Corriere, Daniele Manca). La quale, giusto pochi giorni fa, ha pubblicato, sul sito di Foreign Affairs, un articolo nel quale ribadisce molte delle tesi del padre, in particolare su Iter e Nif («Iter è un’entità sovradimensionata e inefficiente finanziata dal governo. Che ha come complemento, all’estremo opposto, una serie caotica e mal indirizzata di progetti del settore privato, finanziati da capitale di rischio senza direzione. (...) Nella loro ricerca di un rapido successo, le società di capitale di rischio non sono disposte ad accettare che questa invenzione richiederà molti decenni, non uno. Gran parte del denaro sarà, quindi, sperperato». «L’energia pulita non è l’obiettivo di Livermore. La funzione centrale del laboratorio, invece, è studiare le armi nucleari e migliorarne gli effetti distruttivi»).

Mazzucato figlia non fa alcun accenno al progetto di estrazione lunare dell’elio-3 tanto caro a Mazzucato padre. Fa, invece, una riflessione più generale su quello che dovrebbe essere il ruolo degli Stati che vogliano davvero essere innovatori. «Gli Stati imprenditori devono alimentare una rete variegata di hub di ricerca. Questi devono avere la capacità innovativa di perseguire gli obiettivi desiderati in modi diversi e creare nuovi modi per valutare i progressi della ricerca da parte dell’opinione pubblica e diffondere in modo trasparente i progressi scientifici. Per svolgere con successo questi compiti, il settore pubblico deve assumersi la responsabilità e rendere conto del lavoro che svolge. Rendere pubblicamente disponibili i dati in tempo reale, incluso l’uso del denaro dei contribuenti per finanziare il lavoro in questione, può promuovere la trasparenza, rendere riconoscibili i risultati e motivare il progresso. Può anche essere utile stabilire parametri di riferimento intermedi, in modo che un’agenzia possa decidere quando interrompere il finanziamento di progetti che non funzionano. In definitiva, il compito dei governi non è né quello di scegliere i vincitori né di dare sovvenzioni, sussidi e garanzie incondizionate, ma di creare una rete distribuita di giocatori “di buona volontà”».

Entrando più nello specifico della ricerca sulla fusione nucleare, «idealmente, governi e settore privato dovrebbero lavorare per ristabilire una rete decentralizzata di attori ambiziosi che promuovono la fusione nucleare. In una rete del genere, le valutazioni di routine confluirebbero in valutazioni aggiornate sulla direzione del progresso scientifico. Considerando l’enorme sforamento dei costi di Iter e il fatto che non aiuterà a combattere il cambiamento climatico, è necessario che ci sia una discussione onesta e trasparente su come il finanziamento pubblico potrebbe essere indirizzato verso risultati più promettenti. Concentrarsi su un solo progetto non funzionerà. Invece, nuove forme di collaborazione devono essere alimentate in modo più coordinato per rimodellare il panorama della ricerca sulla fusione nucleare. (...) È improbabile che una vera svolta nella fusione nucleare utilizzabile avvenga a Livermore o all’Iter. Risulterà piuttosto da una collaborazione lungimirante tra istituti di ricerca governativi e ambiziose imprese del settore privato nella quale il governo possa svolgere un ruolo di coordinamento cruciale».

Mazzucato padre sottoscriverebbe. Noi ci limitiamo a constatare che, oltre che lunga, la strada verso la fusione nucleare si annuncia tortuosa (troppo lunga e tortuosa per non combattere nel frattempo, qui e ora, il cambiamento climatico con altri mezzi). Il che non vuol dire che il gioco non valga la candela.

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